Meno tasse = più libertà:
perché è giusto tagliare le tasse
Dalla lettera-manifesto al "Foglio"
Il cuore del contratto con gli italiani è che questo paese può fare meglio, può diventare più libero e più responsabile. E che questa nuova libertà responsabile è possibile ottenerla solo ed esclusivamente riducendo la dipendenza del cittadino, e in primo luogo del lavoratore, del contribuente, dallo Stato, che è fatto per servirlo e non per esserne servito. La riduzione del carico fiscale sul reddito individuale e sull'impresa grande e piccola non è né un regalo né una promessa: è bensì una strategia di cambiamento del nostro modo di vita, è un nuovo orizzonte, è una nuova frontiera della politica. Il cuore del cuore del contratto era la chiara e libera volontà, affermata testualmente e chiaramente, di vincolare alla realizzazione di questo programma la sorte del mio impegno personale e di quello del partito di maggioranza relativa che ho avuto l'onore di fondare dieci anni fa. Se le imposte si riducono in modo consistente e visibile, la corsa continua. Altrimenti, la parola deve tornare agli italiani perché siano loro a decidere del proprio destino.
La riduzione strutturale delle imposte, combinata con un intelligente ridimensionamento e cambiamento qualitativo della spesa pubblica e con un duttile ricorso al deficit di bilancio, è la leva che ha permesso i più grandi risultati nella storia dell'economia occidentale. Senza sviluppo non c'è risanamento, ma stagnazione. E senza maggiore libertà economica, lo sviluppo non arriverà mai.
Attivare la leva fiscale è la politica di questo governo, concordata con la maggioranza che lo ha eletto e presentata nella massima chiarezza agli italiani e sottoscritta con parole inequivoche dai leader e dai candidati dei partiti della coalizione di governo.
Impossibile anche solo pensare che a questo programma si possa rinunciare, aggiustando in qualche modo le cose a seconda di nuove convenienze e rinnegando un esplicito mandato con argomenti contingenti e di facciata. Il mio partito ed io non siamo a disposizione per questo voltafaccia. Il presidente del Consiglio non è a disposizione per questo rovesciamento del senso stesso di una missione di cambiamento e di sviluppo del paese.
Sono orgoglioso della stabilità assicurata all'Italia.
Dei progressi nel campo dell'occupazione e del mercato del lavoro. Della nostra capacità di introdurre riforme decisive nei campi dell'educazione, del vivere civile, del sistema pensionistico, dell'organizzazione federale dello Stato. Sono fiero della severità con cui abbiamo tenuto in ordine i conti pubblici in un tempo di stagnazione e sotto gli effetti della guerra contro il terrorismo all'indomani dell'11 settembre. La copertura delle riduzioni fiscali c'è anche in virtù di questa azione responsabile di politica economica.
In Europa è fortissima la spinta a rivedere gli aspetti di vincolismo rigido del Trattato di Maastricht, quei fattori perversi che hanno incrementato il valore della nostra moneta oltre il necessario e artificialmente penalizzato la competitività delle nostre industrie e dei nostri servizi. Il nostro modello produttivo e di consumo deve tornare a credere in un orizzonte economico più libero e competitivo. Chi produce reddito individuale e profitto d'impresa deve tornare a credere nella possibilità di spenderlo e di investirlo in piena autonomia e indipendenza da uno Stato mangiatutto.
E' per questo che sono entrato in politica. E' per questo che ho formato una coalizione di governo. E' per questo che ho firmato un contratto con gli italiani a nome di questa coalizione. E' per questo che disponiamo di una maggioranza elettorale chiara e stabile nel paese e in Parlamento. E' per questo che ho detto e confermo, senza arroganza, ma anche senza cedere a quello spirito rinunciatario che è il male oscuro della politica italiana: o si attua il programma fino in fondo oppure la missione è finita e la parola torna al Paese.
Silvio Berlusconi tratto dalla lettera manifesto pubblicata su "Il Foglio", 23 novembre 2004.
No al fisco di rapina
Il 27 maggio del 1999, a Verona, abbiamo celebrato il Tax Day. In quella occasione abbiamo ricordato una norma di diritto naturale che riposa nel cuore e nella mente di ciascuno di noi. Se lo Stato, in cambio dei servizi che dà, e sappiamo che questo Stato non ci dà i servizi della qualità che noi auspicheremmo, chiede il 33 per cento, un terzo di ciò che con tanta fatica guadagni in un anno, ti sembra una cosa giusta.
Se lo Stato ti chiede il 50 per cento cominci a pensare che sia un furto. Se lo Stato ti chiede, come chiede oggi ai tanti lavoratori autonomi e ai tanti professionisti che rispettano le leggi e che pagano le tasse, oltre il 60 per cento ti sembra una rapina!
Un altro impegno che ci siamo presi è, ricordiamocelo, l'abolizione, nei primi cento giorni del nostro governo, di quella imposta odiosa che è la tassa di successione. Non si capisce perché lo Stato, dopo avere tassato ciò che una famiglia guadagna con il suo lavoro, dopo aver tassato i frutti dei risparmi impegnati in immobili o in investimenti finanziari, voglia tassare ciò che un padre e una madre, dopo una vita di sacrifici, desiderano trasmettere a chi discende da loro, a chi li seguirà.
Silvio Berlusconi Decennale della caduta del muro di Berlino, Roma, 9 novembre 1999
La no tax area
Il nostro programma prevede innanzi tutto una vasta area che abbiamo definito No Tax Area, un'area per i soggetti più deboli, per i redditi più bassi, per la casa, per i servizi sociali, per le famiglie che possono di meno, un'area che prevede la completa esenzione fiscale fino alla cifra che stabiliremo al momento opportuno. Una cifra comunque che si aggira intorno ai venti-ventidue milioni, per una famiglia formata da una persona sola che lavora e nella quale c'è un coniuge da mantenere con due figli.
Lo stesso deve valere per una famiglia formata da una persona di settantacinque anni con coniuge, con un reddito modesto, inferiore a quella cifra. Per queste famiglie noi diciamo che non ci deve essere neppure la preoccupazione di fare la dichiarazione dei redditi, perché a un certo momento della vita si ha il diritto di vivere sereni, si ha il diritto, dopo aver tanto dato, finalmente di ricevere!
Immediatamente sopra la No Tax Area deve esserci un'imposta anch'essa giusta, l'abbiamo chiamata aliquota basica, un'aliquota del 23 per cento che si riferisce ai redditi delle famiglie medie, ai profitti delle piccole e piccolissime aziende. È un'aliquota che arriva sino ai duecento milioni. Dai duecento milioni in su, come aliquota massima deve esserci quel terzo che è stato dettato dal nostro senso di giustizia, il 33 per cento di aliquota massima!
Silvio Berlusconi Tax Day di Forza Italia, 27 maggio 1999
Tasse giuste, contribuenti onesti
Sembra un paradosso, ma ciò che è successo negli altri Paesi sta lì a dimostrare che tasse giuste, aliquote giuste, fanno contribuenti onesti. In America il Presidente Reagan, arrivato al governo, trovò che le persone erano tassate con delle aliquote che, per i redditi più alti, erano addirittura del 72 per cento.
Bene, con due interventi successivi, scambiò il due e il sette, fece diventare la tassazione massima sulle persone del 27 per cento. Quale fu il risultato? Raddoppiarono le entrate nelle casse dell'erario e, ancor di più, il 50 per cento delle intere entrate nelle casse dell'erario risultò pagato dagli americani più ricchi.
Cosa significa?
Che quando lo Stato ti chiede una cosa che senti giusta, sei il primo a voler restare in pace con lo Stato e con la tua coscienza. La tua coscienza ti dice che lo Stato ti può e ti deve chiedere delle imposte, ma te le deve chiedere da Stato liberale, ti deve chiedere delle imposte giuste commisurate ai servizi che ti dà.
In uno Stato liberale, le imposte altro non sono che ciò che il cittadino paga in cambio di servizi.
Silvio Berlusconi Prima Assemblea nazionale di Azzurro Donna, Sanremo, 28 marzo 1998
Cittadini, non sudditi
In un sistema liberale non si pagano le tasse perché lo Stato esiste, ma perché lo Stato opera, fa qualcosa a favore dei cittadini. Nel sistema liberale è così: lo Stato rende dei servizi ai cittadini, che lo finanziano come contropartita di ciò che lo Stato dà loro.
Nello Stato autoritario invece le tasse non si pagano in base ai benefici e ai servizi che i cittadini ricevono. Nello Stato autoritario i cittadini devono pagare le tasse, per il solo fatto che lo Stato esiste. Le devono pagare e basta, anche quando ricevono niente o poco in contropartita. Questo è il principio della servitù e della sudditanza fiscale. Noi siamo qui per dire basta alla servitù fiscale, per dire basta alla sudditanza fiscale. Noi le tasse le paghiamo, le abbiamo pagate e continuiamo a pagarle.
Se non fosse così, se non fosse vero che le tasse le paghiamo, non saremmo qui a protestare contro le tasse. Chi evade non protesta contro le tasse, le evade e basta. Se siamo qui, è perché siamo contribuenti onesti, cittadini leali. Leali, ma non sudditi, leali ma non schiavi.
Per questo noi chiediamo: quando verrà il momento in cui lo Stato smetterà di torchiare? Quando verrà il momento in cui lo Stato comincerà a risparmiare?
Silvio Berlusconi Manifestazione elezioni amministrative, Milano, Piazza del Duomo, 3 maggio 1997
Meno tasse, meno burocrazia
Noi vogliamo un'Italia con meno tasse e meno burocrazia, un'Italia che dia più spazio a chi assume il rischio d'impresa, a chi si assume il compito di produrre lavoro e benessere: noi vogliamo un'Italia, insomma, che dia più spazio al privato e meno allo Stato: un'Italia con più privato e meno Stato!
Proporremo anche la riduzione delle aliquote fiscali perché quelle di oggi, introdotte molto tempo fa per colpire di più i cittadini più ricchi, oggi fanno pressione anche su cittadini che certo sono nel benessere, ma che non possono assolutamente definirsi ricchi; opereremo quindi in questa direzione convinti, come siamo, che aliquote più giuste siano un incentivo al lavoro, all'investimento, al rischio d'impresa, e siano soprattutto un grande disincentivo all'evasione.
Silvio Berlusconi Prima Convention Forza Italia, Roma, 6 febbraio 1994