La riforma federale
Il 16 novembre 2005 il Senato ha definitivamente approvato il disegno di legge di riforma della Parte II della Costituzione.
Il testo della legge Costituzionale, approvato in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005. Entro tre mesi dalla pubblicazione del testo, un quinto dei membri della Camera, o 500.000 elettori o 5 Consigli regionali possono domandare che si proceda a referendum popolare.
Questa legge è il quarto provvedimento di riforma della suprema legge dello Stato approvato nel corso di questa legislatura.
In questo modo:
- si mette ordine tra le competenze delle Regioni e quelle dello Stato, dopo la confusione prodotta dalla pasticciata riforma approvata dal Centrosinistra alla fine della scorsa legislatura
- si mette fine al bicameralismo perfetto, razionalizzando e velocizzando la procedura per fare le leggi
- con il premierato e le norme antiribaltone si conferma il potere dei cittadini di scegliere un leader, un programma, una coalizione
- si riduce il numero dei parlamentari, come era indicato nel nostro programma del 2001.
Con questa riforma:
- La riforma costituzionale introduce il federalismo o devoluzione, che significa semplicemente che le Regioni possono fare le leggi in una serie ben precisa di materie, per realizzare meglio gli interessi dei cittadini legati al territorio ma sempre nel rispetto dell'interesse nazionale, garanzia formale e sostanziale dell'unità del Paese. Nella Costituzione attuale - voluta dal centrosinistra a fine della scorsa legislatura con soli quattro voti di margine - non c'è nessun riferimento all'interesse nazionale.
I Paesi federali hanno uno sviluppo più elevato e duraturo, costi amministrativi più bassi, maggiore efficienza e sono più vicini alle esigenze dei cittadini. Federalismo vuol dire autogoverno, dunque l'avvicinamento dei cittadini alle decisioni che li riguardano e che sono più consone alle esigenze dei loro territori.
Il federalismo, presentato dall'opposizione come frutto di una volontà egoistica e prevaricatrice del Nord, è invece lo strumento per realizzare una effettiva parità tra tutte le parti del Paese nel segno della responsabilità: la gestione delle proprie risorse e l'individuazione del proprio interesse metteranno fine al rimpallo delle responsabilità tra potere centrale e poteri locali. - La riforma mette ordine nel caos delle competenze tra gli organi centrali e gli organi locali, creatosi con la riforma pasticciata approvata dal centrosinistra nel 2001, che ha provocato centinaia di ricorsi alla Corte Costituzionale, paralizzando in molti settori l'attività delle Regioni e dello Stato centrale.
- La riforma riduce il numero dei parlamentari, come era indicato nel programma elettorale 2001 della Casa delle Libertà.
- La riforma pone fine al bicameralismo perfetto che, duplicando il passaggio di ogni disegno o proposta di legge, ha sistematicamente rallentato l'azione del governo. Con la riforma viene distinto il ruolo nazionale della Camera, che dà la fiducia al governo, ed il ruolo federale del Senato. La Camera si occuperà dei problemi dello Stato e il Senato delle regioni e del territorio. Il tutto con un risparmio di tempi e di pubblico denaro.
- La riforma rafforza il diritto dei cittadini a scegliere un primo ministro, una programma e una coalizione di governo.
- Con i maggiori poteri attribuiti al primo ministro, (scioglimento delle camere, revoca dei ministri) e le norme antiribaltone, la riforma rafforza la governabilità e il bipolarismo, togliendo potere alla partitocrazia.
Non hanno quindi fondamento gli allarmi dell'opposizione che denuncia la riforma come anticamera della disgregazione dello Stato. La Commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema aveva concordato su un punto essenziale: quello di dare al governo e al premier, indicato anche se non eletto direttamente dei cittadini, i poteri necessari per guidare il Paese sia nelle esigenze quotidiane sia nei grandi piani progettuali.
Nel 2001 il governo Berlusconi si era impegnato ad adeguare le istituzioni del Paese alle esigenze di oggi e soprattutto a quelle di domani.
Cambiare lo Stato, e quindi il modo di governare e di fare politica, è possibile solo cambiando le istituzioni in una ben precisa direzione: rendere facile il passaggio dalla volontà dei cittadini all'azione del governo.
Questo è possibile solo modificando le istituzioni e avvicinandole ai cittadini, da un lato attraverso il federalismo o devoluzione, e dall'altro lato accrescendo i poteri del governo e del primo ministro che, per ragioni storiche, nella Costituzione ancora in vigore rimasero fortemente limitati.
Questo è il risultato che la CdL può presentare ai cittadini: la legislatura che volge al termine è stata utile al Paese in quanto lo ha dotato delle istituzioni indispensabili per il futuro.