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Spunti di riflessione sulla riforma della Costituzione

Un successo della maggioranza

Il voto con cui la Camera ha approvato la riforma della Costituzione corona un impegno che abbiamo preso con gli elettori e con tutto il Paese. Abbiamo condotto in porto quanto ci eravamo impegnati a fare e lo abbiamo fatto nei tempi previsti, nella seconda parte della legislatura. È un successo a cui ha contribuito tutta la maggioranza, che si è dimostrata unita e coerente con i suoi impegni elettorali.

Riforme condivise

Abbiamo sempre cercato il dialogo con l'opposizione, tanto da far nostra una proposta, il premierato, che il centrosinistra ha presentato alle elezioni del 1996 e del 2001. La nostra apertura, la nostra volontà di giungere a riforme condivise, nel rispetto della volontà espressa dagli elettori nel 2001, resta inalterata. E ci auguriamo che l'opposizione voglia coglierla nel prosieguo del cammino della riorganizzazione dello Stato.

Guardare avanti

Ora dobbiamo guardare avanti e predisporre gli strumenti per rendere ancora più solida la nuova organizzazione statuale. La legge elettorale approvata nel dicembre 2005, che sarà applicata nelle elezioni politiche di aprile, dovrà conseguire due obbiettivi fondamentali: dare maturità al bipolarismo, reso più forte dalla nascita della figura del Primo ministro, e assicurare l'equilibrio della rappresentanza tra le forze politiche che si alleano tra loro per formare coalizioni che si candidano a governare il Paese.

Uno Stato più vicino ai cittadini

Con questa riforma abbiamo realizzato gli obiettivi perseguiti: uno Stato democratico, più vicino ai cittadini e alle loro esigenze, più rispettoso dell'autonomia delle Regioni e del principio di sussidiarietà.

Uno Stato più forte

E, insieme, uno Stato più forte, con un governo più autorevole, espressione diretta della sovranità popolare, in grado di assicurare stabilità e continuità nella sua azione, a differenza che nel passato, quando i governi duravano in carica in media undici mesi.

In altre parole uno Stato dove la libertà e la volontà popolare sono i valori fondanti della democrazia.

Abbiamo l'orgoglio di essere riusciti là dove, per troppo tempo, la politica aveva fallito. Dal 1993 ad oggi gli italiani chiedevano uno Stato più moderno, più capace di rispondere con immediatezza alle loro esigenze, più democratico e rispettoso della loro volontà espressa nelle urne. Ora lo hanno ottenuto, con questa riforma riusciremo a ridare fiducia al Paese, fiducia nelle istituzioni e nella democrazia.

Uno Stato moderno

Il Parlamento è finalmente riuscito ad approvare una riforma della Costituzione di portata storica. Da almeno trenta anni il nostro Paese soffriva di una mancanza di aggiornamento delle istituzioni che consentisse di rispondere meglio alle esigenze di uno Stato moderno.

Questa riforma va in profondità perché:

  • soddisfa il bisogno di libertà e di autonomia decisionale espressa nella forma federale senza minimamente intaccare il principio dell'unità e della solidarietà nazionale;
  • attribuisce agli elettori un potere più diretto nella scelta della maggioranza politica che deve governare, garantendo ai governi anche i tempi necessari per realizzare i loro programmi, ma senza limitare i poteri del Parlamento al quale l'Esecutivo resta legato dal rapporto di fiducia;
  • consente al Primo ministro e al Governo un maggior potere di iniziativa e di rapidità decisionale senza per questo ridurre lo spazio per il dibattito politico sulle scelte;
  • conferma il presidente della Repubblica nel suo ruolo di garanzia di unità nazionale e di controllo del rispetto delle regole scritte nella Costituzione;
  • ratifica il processo in atto da anni di avvicinamento dei cittadini alle istituzioni.

E' una riforma che rende più libere di manifestarsi le energie creative del popolo italiano e mette in condizione le istituzioni, le imprese e tutte le manifestazioni della vita civile e sociale di inserirsi nel processo irreversibile della globalizzazione.

Istituzioni in grado di funzionare meglio al servizio dei cittadini.

L'Italia è profondamente mutata rispetto al 1948. Di conseguenza le regole di funzionamento delle istituzioni necessitano di essere adeguate alla realtà odierna anche per essere in piena sintonia con il rafforzamento delle autonomie regionali e locali, l'elezione diretta di sindaci, presidenti di provincia e di regione e l'affermazione del bipolarismo realizzatisi negli ultimi dieci anni e non previsti dalla Costituzione vigente.

Con la riforma approvata c'è un nuovo quadro nel quale le istituzioni possono convivere e funzionare meglio al servizio dei cittadini.

Vanno in questa direzione la fine del bicameralismo perfetto e la conseguente velocizzazione nell'approvazione delle leggi, la separazione di competenze tra Camera e Senato federale, il potere del Premier di dirigere il governo e di nominare e revocare ministri, la riduzione del numero dei parlamentari, i poteri del Presidente della Repubblica.

La volontà del popolo sovrano

La nuova Costituzione intende legare in modo indissolubile volontà (e voto) dei cittadini alle istituzioni. L'indicazione sulla scheda elettorale del nome del candidato Premier, il ruolo del Presidente della Repubblica; il legame tra Primo Ministro, maggioranza e programma di governo; le norme antiribaltone; l'obbligo del premier di riferire alla Camera ogni anno in merito alla attuazione del programma di governo; queste sono alcune delle principali novità attraverso cui viene garantito che la politica rispetti il volere espresso dai cittadini con il voto, impedendo trasformismi e ribaltoni.

Un federalismo giusto, solidale e funzionante

La nostra riforma corregge i guasti e le inefficienze della riforma approvata dall'Ulivo alla fine della scorsa legislatura, con soli quattro voti di scarto: una riforma che ha provocato tanti contenziosi tra Stato e Regioni e tanto spreco di tempo e di denaro. L'introduzione del principio di sussidiarietà e del federalismo fiscale, l'attribuzione alle Regioni delle competenze organizzative su sanità, scuola e polizia amministrativa e locale rafforzeranno il legame tra cittadini e istituzioni.

Allo stesso modo la clausola di supremazia, quella di essenzialità e la norma sull'interesse nazionale mettono al riparo dalle sperequazioni tra Regioni e garantiscono la effettiva unità della nazione.

I costi accertati della riforma costituzionale della sinistra

Oggi la sinistra accusa la maggioranza di varare la riforma federale senza avere prima fatto il conto dei costi, utilizzando in maniera propagandistica e scorretta cifre che non tengono conto della nuova e diversa impostazione della riforma costituzionale. In realtà è Stato il centrosinistra ad approvare, per soli quattro voti alla fine della scorsa legislatura nella primavera del 2001, una parziale riforma federale senza accertarne il costo. Una riforma che ha irresponsabilmente portato a un aumento delle spese e a una esplosione del contenzioso tra Stato e Regioni.

Infatti la riforma della sinistra:

  • ha addossato ulteriori competenze agli Enti locali senza dotarli delle necessarie risorse finanziarie;
  • ha soppresso i trasferimenti statali per il finanziamento del trasporto pubblico e della spesa sanitaria, senza precisare la quota dei tributi erariali che lo Stato può e deve girare automaticamente alle autonomie locali;
  • ha menzionato l'esigenza di coordinare la finanza statale con quella regionale e comunale, ma ha evitato di stabilirne le modalità, le procedure e i tempi tecnici.

La conseguenza è stata che a livello locale ci sono state nuove spese e nuove imposte, che hanno fatto aumentare i costi in misura pari al 2-4%, una cifra compresa tra i 25 e i 50 mila miliardi di vecchie lire.

Il nostro federalismo costa quasi la metà di quello dell'Ulivo

Secondo l'Isae (Istituto di Studi e Analisi Economica), se attuato pienamente nella sua forma originaria, il federalismo approvato dall'Ulivo costa ad oggi 61 miliardi di euro. In realtà le correzioni apportate dal centrodestra faranno diminuire i costi perché le Regioni non avranno più 18 materie su cui legiferare in modo esclusivo ma al massimo sette. Ciò comporterà notevoli risparmi perché diminuendo le competenze delle Regioni di conseguenza diminuisce la necessità di maggiori trasferimenti di personale e di risorse: questi risparmi sono stimati intorno al 40% rispetto ai costi della riforma varata dal centrosinistra.

In secondo luogo, i costi sono comunque diluiti nel tempo in quanto la riforma federale non è un'operazione immediata ma è un processo che avrà bisogno di anni per entrare a regime. Inoltre si sta studiando un piano per consentire che il passaggio di personale della Pubblica amministrazione dal livello centrale a quello locale avvenga in modo indolore e soprattutto più economico. Cosa che la sinistra non ha fatto con la sua riforma.

Quello che la riforma vuole conseguire è un obiettivo generale di maggiore trasparenza nella gestione del denaro pubblico, sia da parte dello Stato sia da parte degli Enti locali. Infatti con una buona attuazione del federalismo non solo non si corre il rischio di una duplicazione dei costi, ma si ottiene una loro diminuzione, come avvenuto in Spagna. Il problema, infatti, non è quanta autonomia viene data alle Regioni ma bensì come le Regioni utilizzano i poteri a loro riservati.

Il nostro federalismo non farà aumentare le tasse locali

La sinistra afferma che con il nuovo assetto federale aumenteranno le tasse a livello locale. Per evitare questo pericolo e introdurre una ulteriore garanzia contro ogni aumento dei costi della struttura federale, la nuova Costituzione prevede che in nessun caso l'autonomia impositiva delle Regioni, delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni può determinare un aumento della pressione fiscale totale, che deve essere mantenuta inalterata.

Il nostro federalismo non spacca ma anzi ricompatta il Paese

La nostra riforma costituzionale non spacca ma anzi ricompatta il Paese perché definisce con chiarezza le materie assegnate alla competenza delle Regioni e determina il ritorno di alcune materie importanti alla competenza dello Stato. Lo si è fatto allo scopo di realizzare un federalismo solidale, molto più equilibrato e comunitario di quello voluto dalla sinistra.

Le materie riportate in capo allo Stato sono:

  • le norme generali sulla tutela della salute,
  • la sicurezza e la qualità alimentare,
  • l'ordinamento della Capitale federale,
  • le reti strategiche di trasporto e navigazione di interesse nazionale e le relative norme di sicurezza,
  • l'ordinamento della comunicazione,
  • l'ordinamento delle professioni intellettuali,
  • l'ordinamento sportivo,
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia,
  • promozione internazionale del sistema economico e produttivo italiano,
  • la politica monetaria,
  • la tutela del credito,
  • le organizzazioni comuni di mercato.

Il trasferimento allo Stato di queste materie è il miglior antidoto per evitare che nascano processi di divaricazione tra le Regioni.

La devoluzione, invece, assegna alle Regioni materie che possono gestire meglio dal punto di vista organizzativo e finanziario, poiché è innegabile che gli enti locali sono più vicini al cittadino di quanto non possa essere un governo centrale. Per esempio:

  • Sanità. Le Regioni avranno competenza legislativa esclusiva su assistenza sanitaria e organizzazione ospedaliera. Allo Stato spettano le norme generali sulla tutela della salute;
  • Scuola. Le Regioni avranno competenza legislativa sull'organizzazione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Potranno definire programmi scolastici e di formazione di interesse regionale. Allo Stato il compito di assicurare l'omogeneità complessiva degli studi;
  • Polizia. Le Regioni avranno competenza legislativa sulla organizzazione della polizia amministrativa e locale, la cui attività andrà coordinata con quella degli altri corpi dello Stato.

Finora, senza federalismo, e con oltre un secolo e mezzo di centralismo alle spalle, non sono stati colmati i diversi divari - sociali, economici, organizzativi - tra Nord e Sud. La sinistra afferma che il federalismo aumenterà questo divario. Ma quello che è certo è che il centralismo, finora, non lo ha eliminato mentre il federalismo può essere la grande risposta veramente innovativa al problema del divario Nord-Sud.

La riforma federalista può essere una grande opportunità di modernizzazione del Paese. Federalismo significa responsabilità, semplificazione, sburocratizzazione, collaborazione tra pubblico e privato. Le Regioni, assumendo una responsabilità esclusiva, dovranno dimostrare di essere responsabili nel varare le leggi. Buone leggi consentiranno di utilizzare le risorse in modo più efficiente. Il passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni può rendere più trasparente l'utilizzo delle risorse attraverso la responsabilità delle autonomie locali, la cui spesa diventa molto più controllata dai cittadini che non a livello centrale.