ti trovi in: Governo Berlusconi » Riforma del sistema radiotelevisivo
Riforma del sistema radiotelevisivo. Perché questa legge

Sintesi dell'intervento dell'on. Ferdinando Adornato prima del voto finale alla Camera sulla legge di riforma del sistema radiotelevisivo

(...) Anche la legge Gasparri per voi sarebbe liberticida e costruita a misura per gli interessi del Premier. Bene, stiamo ai fatti. E stare ai fatti significa saper leggere la storia di questo paese. C'è stata, a partire dal 1954, una prima fase trentennale del nostro sistema televisivo, caratterizzata dalla nascita e dallo sviluppo del monopolio statale: una fase pionieristica e gloriosa. Negli anni ottanta, l'iniziativa azzardata e, prima di allora, impensabile di un outsider come Berlusconi propose l'eresia della libertà di antenna e di un nuovo pluralismo televisivo. Una parte rilevante del sistema politico si arroccò a difesa del monopolio statale contro la libertà e il pluralismo E gran parte di quelle forze sono le stesse che si oppongono, oggi, anche alla Gasparri.
Nel 1984 con il decreto Craxi e, poi, nel 1990 con la Mammì, vinse la libertà e il monopolio diventò duopolio. Ebbene, oggi quella seconda fase - anch'essa quasi trentennale - si sta esaurendo. E guai a non capire tutti che è tempo di preparare il futuro.

Ebbene, ha ragione l'opposizione a sostenere che oggi siamo noi a voler pietrificare il sistema a difesa dell'esistente? Onestamente direi di no, in primo luogo perché già altri soggetti sono entrati nel mercato, come La7, e altri prepotentemente, grazie al satellite, entrano oggi, come Sky - la storia sta già andando oltre il duopolio - ma, soprattutto, perché proprio questa contestatissima legge Gasparri apre concretamente l'era del digitale terrestre, che sancirà un'ampia pluralità di offerta, come tutti sapete.

(...) Questa legge impone a RAI e a Mediaset di preparare con investimenti pesanti già per il 1° gennaio 2004 una copertura digitale terrestre del 50 per cento del territorio attraverso programmi in chiaro e decoder accessibili. Non credete che possa essere il 2006 la data finale di questa transizione? È probabile, ci vorrà forse qualche anno di più, ma questo non vi può in alcun modo permettere di ignorare che oggi, al pari di Francia e Germania e forse persino con qualche anticipo, l'Italia con questa legge apre la terza fase della sua modernizzazione televisiva. Dopo il 1954, dopo il 1984, nel 2004 il nostro paese aprirà la nuova tappa del suo progresso mediatico. Un'opposizione seria direbbe: vigileremo perché ciò accada sul serio. Invece, voi fate il solito processo alle intenzioni negando persino l'evidenza.

Allo stesso modo, il sistema di calcolo del SIC è opinabile, persino perfezionabile; ma perché per sostenere questo dovete negare quello che molti di voi hanno sostenuto per molti anni, vale a dire che in un paese moderno non avesse alcun senso mantenere una rigida barriera tra strumenti mediatici, TV, giornali, Internet, editoria, ormai intimamente legati da reti multimediali?
Finalmente, questa legge abolisce tale anacronistica barriera.
Gli editori dei giornali, foto: l'on. Ferdinando Adornatogià con la prossima finanziaria, saranno certamente aiutati con un credito di imposta del 10 per cento sul quantitativo di carta consumata. Tuttavia, vorremmo dire loro che sbagliano se pensano che colpire in qualche modo la pubblicità televisiva possa significare automaticamente vederla trasferita sulle proprie colonne, perché diversa è la tipologia editoriale, diversa è la scelta dell'investitore, diversa, purtroppo, è la forza della carta stampata, i livelli di lettura che si è saputo conquistare.

Dite, infine, che abbiamo fatto questa legge solo per salvare Retequattro; dimenticate però di dire che si tratta, nel caso, di salvare anche la RAI, anch'essa obbligata dalla sentenza della Corte costituzionale a rinunciare a 300 miliardi di pubblicità con gravi ripercussioni su tutta l'azienda.
Ebbene sì, vedete, noi facciamo questa legge anche per salvare Retequattro e la RAI: sta qui però la vera differenza culturale tra noi e voi. Voi pensate che la parola pluralismo coincida con la parola restrizione. Immaginate, cioè, solo la dismissione di frequenze che poi magari, non troverebbe nessun acquirente sul mercato, sacrificando posti di lavoro e pretendereste anche che di tali tagli alla RAI ed a Mediaset si assumesse la responsabilità non il Parlamento, ma il Presidente Ciampi. L'onorevole Violante stamattina ha detto che questa è una legge contro il Presidente della Repubblica. Ma a lei chi gliel'ha detto? Vi consiglierei di smetterla di farvi scudo del Presidente della Repubblica italiana.
Noi pensiamo, al contrario, che la parola pluralismo coincida con la parola crescita. Immaginiamo che le nostre imprese debbano ancora crescere per potere essere competitive con i colossi stranieri puntando invece sulla modernizzazione, il satellite e il digitale terrestre, per aprire nuovi spazi di libertà informativa. Certo, difendiamo il duopolio perché queste sono le imprese del paese, ma nello stesso tempo con questa legge cominciamo a preparare un futuro di maggiore pluralità.

Ma il vero blackout della vostra analisi si registra proprio intorno al tema del conflitto di interessi. Per voi, infatti, forse per antichi riflessi, la parola proprietà è comunque sempre antitetica alla parola libertà. Soprattutto nel campo dei media non è affatto così. È evidente che in Italia vi è una situazione proprietaria anomala; non lo nega nemmeno il Presidente del Consiglio, ma da qui se ne ricava che la libertà informativa in Italia è in pericolo?
Chi ragiona onestamente sa benissimo che non solo non è in pericolo, ma, al contrario, la maggioranza dei media italiani non è affatto filogovernativa e, anzi, si può dire che è antigovernativa. Non solo, ma la proprietà berlusconiana di Mediaset non proibisce affatto a quell'impresa una grande libertà espressiva. Che strano dittatore è questo nostro Premier, la cui casa editrice diffonde i libri dei capi dell'opposizione e le cui TV tra Zelig, Striscia la notizia, il Maurizio Costanzo show e Le Iene tutto fanno meno che incensare il capo e il cui Tg principale, il Tg 5, anche per molti di voi è un modello di imparzialità.
Voi parlate di regime culturale, ma quanti italiani sanno che Roberto Benigni, Bernardo Bertolucci, Ettore Scola, Aldo, Giovanni e Giacomo, Paolo Virzì, Giuseppe Tornatore cioè, anche alcuni tra i più schietti contestatori del Premier e di questa maggioranza, diffondono la loro creatività e le loro idee in Italia e nel mondo grazie alla Medusa, produzione e distribuzione legata a Mediaset. Non vi è nulla di straordinario in questo; Mediaset non fa una gentile concessione. È la situazione ordinaria di imprese che nascono e crescono proprio per dare gambe industriali alla creatività di una nazione. Quello che è straordinario, invece, è continuare a dire il contrario e trattare con ostilità imprese che hanno un ruolo decisivo nello sviluppo della cultura italiana nel mondo.

Quanto alla RAI, onorevole Fassino, vogliamo ricordare i nomi dei presidenti via via proposti dal centrodestra? Letizia Moratti, Antonio Baldassarre, Lucia Annunziata.
Al di là dei difformi esiti del loro incarico, in nessun caso abbiamo fatto una scelta militante come quella di Zaccaria, anzi siamo la prima maggioranza nella storia d'Italia che ha offerto il posto di presidente ad una personalità dell'opposizione.
Non c'è che dire! Siamo davvero una bella banda di liberticidi cari amici!

Vorrei svolgere un'ultima considerazione: l'anomalia della quale ho parlato all'inizio, ovvero l'ossessione antiberlusconiana, costringe noi tutti a parlare solo di contenitori, mentre l'era che si apre è quella dei contenuti. La nuova informazione plurale sarà ancora più invadente e pretenderà dagli operatori quella civiltà del confronto e quell'etica della responsabilità che troppo spesso mancano ai media, non solo in Italia. Troppo spesso prevalgono ancora mediocrità e volgarità. Troppo poco amore si ha per la nostra storia e per la nostra identità nazionale ed europea, il racconto delle nostre radici. La creatività italiana, invece, se bene indirizzata, se non compressa nel vecchio e provinciale teatrino, se dotata di vera forza industriale, potrebbe competere con chiunque nel mondo. È questa la vera sfida che la maggioranza intende oggi proporre agli operatori del sistema informativo, quella della qualità, perché questa è la vera sfida del terzo millennio.

Camera dei Deputati, 2 ottobre 2003.