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Soluzione accettabile all'estero non c'è di meglio

Stefano Mannoni, "Corriere della sera", 1° marzo 2002

Caro Direttore,
sulle norme relative al conflitto d'interessi, vorrei esprimere un'opinione diversa da quella del Corriere. Un po' come accadeva durante la Grande Guerra, quando gli eserciti si affrontavano per mesi in estenuanti battaglie di logoramento, il conflitto d'interessi si è trasformato in una terra di nessuno dove maggioranza e opposizione abbandonano a turno le posizioni che avevano conquistato il giorno prima. Da anni spettatori impotenti di questo stillicidio di progetti, dibattiti, slogans e polemiche i cittadini mostrano di averne abbastanza. E si appellano al legislatore perché si giunga all'armistizio.

Dobbiamo rassegnarci a rispondergli ancora una volta: nulla di nuovo sul fronte occidentale? Forse no.

Col voto di ieri siamo ormai nel pieno della partita decisiva per l'adozione della legge. Eppure l'opposizione continua a liquidare il progetto Frattini come una vera caricatura, una prepotenza della maggioranza. La questione è seria, molto seria: ne va della credibilità delle istituzioni oltre che dell'immagine del Paese. Il punto decisivo è allora proprio questo: davvero il disegno del governo è così ridicolo? E se le cose stanno così, come si è potuto arrivare a tanto?

La risposta a queste due semplici domande passa per l'ormai celebre "modello americano" e per le esperienze dei nostri vicini europei. Più citato che compreso, questo sedicente "modello Usa" ha ispirato negli anni progetti i cui stessi autori hanno finito per ammettere l'inadeguatezza o l'impraticabilità. Il blind trust per cominciare: del tutto inadeguato. Dopo averlo celebrato come l'uovo di Colombo si è capito che affidare imprese, televisive o non, a una gestione anonima e indipendente, non avrebbe impedito al governante-proprietario di favorirle, direttamente o indirettamente.

L 'alienazione forzata allora? Semplicemente impraticabile. E' bastato uno sguardo un po' più attento alla realtà americana per scoprire che negli Usa, la patria della liberty and property, nessuno può obbligare chicchessia a vendere alcunché. La verità è un'altra: nella spietata arena politica di Washington dove i senatori (in base alla costituzione) possono sbarrare la strada a qualsiasi nomina presidenziale, dove nemmeno le massime cariche dello Stato sono al riparo da penetranti investigazioni penali e personali, le precauzioni non sono mai troppe: il caso Enron insegna.

A nessuno, in America come in qualsiasi altro Paese civile, è mai venuto in mente di condizionare l'esercizio di un diritto politico all'alienazione di beni. Ai tempi dei greci questo si chiamava ostracismo e non sembra unabuona idea risuscitarlo sotto mentite spoglie. Restava la proposta di una autorità indipendente che valutasse caso per caso la situazione patrimoniale dei singoli uomini di governo.

E poi? Avrebbe dettato al capo dello Stato di revocare il presidente del Consiglio o il ministro che, a giudizio dell'autorità, non desse garanzie di imparzialità. Non scherziamo! Lasciamo ora il "modello Usa" per l'Europa dove troviamo ahimè ben poco cui attingere. Le costituzioni rigide dei nostri vicini prendono troppo sul serio i diritti personali, le libertà politiche fondamentali, per imporre preclusioni o, come si dice pudicamente in Italia, "oneri". In alcuni casi poi, come in Francia, il conflitto di interessi è persino divenuto l'asse portante dello Stato gollista i cui tecnocrati vanno e vengono dalle aziende senza curarsi minimamente della coincidenza tra controllori e controllati. Quanto poi alle poche foglie di fico legislative introdotte qui e là con il dichiarato intento di "garantire" qualche cosa, sono concessioni all'opinione pubblica che suscitano il sarcasmo degli addetti ai lavori. In una parola, la trasparenza non ha guadagnato proprio nulla, ma prospera solo l'ipocrisia.

Torniamo infine all'Italia. Frattini si è fatto carico di presentare un progetto che concilia il rispetto dei diritti politici, la forma del governo (che in Italia affida al Parlamento il controllo sull'esecutivo) e l'indipendenza di una authority destinata a rafforzare il monitoraggio sugli atti sensibili. In quella terra incognita che, ovunque nel mondo, è la disciplina del conflitto di interessi, questo rappresenta un punto di riferimento solido. E tanto basta perché se ne possa discutere serenamente, magari senza rifugiarsi sull'Aventino o sbandarsi a Caporetto.

* Docente di giurisprudenza Università di Firenze