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Autorità alla prova

Nicolò Zanon, "Il Sole 24 ore", 14 luglio 2004, p. 1

Ogni seria valutazione sulla legge sul conflitto di interessi approvata definitivamente ieri dalla Camera deve rifuggire da superficiali giudizi liquidatori e facili ideologismi. La materia da disciplinare, intanto, era delicatissima, per varie ragioni ben note a tutti. Si trattava di intervenire sul rapporto tra cariche di governo e interessi privati di coloro che le ricoprono prevedendo regole ragionevolmente severe, con il piccolo ma decisivo particolare che la legge era da farsi non a bocce ferme, ma a gioco iniziato da un pezzo. Per giunta, stante l'inattività dell'opposizione nella passata legislatura, l'intervento richiesto doveva essere portato a termine da una maggioranza il cui leader, Silvio Berlusconi, è considerato (da quella stessa opposizione) il simbolo vivente del conflitto di interessi. Inoltre - ma questo lo si ricorda di rado - si trattava di contemperare valori diversi e potenzialmente tra loro confliggenti: da una parte il diritto costituzionale di tutti i cittadini di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive.

Dall'altra parte il necessario ancoraggio di ogni attività di governo all'interesse pubblico (o meglio, a quello che tale viene ritenuto). Infine, per quanto possibile, si doveva por mano a una legge che, pur non prescindendo dal "fattore B" e dai problemi a questo connessi, potesse ambire a disciplinare durevolmente la questione.

In questo panorama oggettivamente difficile, la legge (che riguarda tutte le cariche di governo: Presidente del Consiglio, ministro, vice-ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario) non accoglie né soluzioni brutali, forse incostituzionali, né modelli stranieri: per l'uomo di governo, nessuna vendita forzata dell'impresa, nessun conferimento del patrimonio a un blind trust, gestito con scelte di cui egli nulla può sapere.

Vi è invece, in primo luogo, la previsione di molte incompatibilità. Il titolare delle cariche ricordate non può svolgere nessuna attività pubblica diversa dal mandato parlamentare, né alcuna attività privata di rilievo economico: né compiti di gestione in società con fine di lucro, né attività imprenditoriale (quello individuale provvederà a nominare un institore), né attività professionale o di lavoro autonomo. Di tutte le situazioni di incompatibilità, nonché delle proprie attività patrimoniali e delle partecipazioni azionarie, egli dovrà dare notizia all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Qui il "fattore B" si manifesta nel senso che la comunicazione va fatta anche all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni quando l'incompatibilità riguarda i settori della comunicazione, della multimedialità e dell'editoria. L'Autorità garante della concorrenza ha poteri d'intervento, si dovrà capire quanto effettivi: quando accerta l'inosservanza delle regole in tema di incompatibilità essa può <promuovere> la rimozione o la decadenza o la sospensione dalla carica dall'ufficio privato (non da quello di governo, si badi).

Ma il "cuore" della legge sta nella definizione di ciò che è conflitto di interessi, e nella previsione delle conseguenze che ne derivano. Su questa parte della legge si sono agitate, e da oggi si agiteranno ancor più, polemiche vivissime. Il conflitto sussiste quando l'uomo di governo partecipa all'adozione di un atto (anche proponendolo), oppure omette di adottare un atto dovuto, trovandosi in una delle situazioni di incompatibilità prima ricordate; ma il conflitto sussiste anche quando (a prescindere da ogni incompatibilità) l'atto o l'omissione ha un'incidenza specifica e preferenziale sul suo patrimonio, o su quello del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, oppure sulle imprese o società da essi controllate. In entrambi i casi è però richiesto, in più, il verificarsi di un <danno per l'interesse pubblico> e anche su questa aggiunta non mancheranno polemiche. Alla solita Autorità garante della concorrenza sono attribuiti poteri di controllo e di verifica, che molti tenderanno a giudicare ineffettuali: essa dovrà accertare l'incidenza <specifica e preferenziale> sul patrimonio dell'uomo di governo dell'atto adottato in conflitto di interessi, nonché il danno per l'interesse pubblico. Inoltre, se l'Autorità verificherà che le imprese <facenti capo> (nozione certo vaga) all'uomo di governo si comportano in modo da trarre vantaggio da atti adottati in conflitto di interessi, e vi è la prova che chi ha agito conosceva la situazione di conflitto, potrà intimare misure correttive, e anche sanzioni pecuniarie proporzionate alla gravità del comportamento e al vantaggio patrimoniale ricavato. In casi del genere, l'Autorità riferirà dettagliatamente al Parlamento.

A dispetto di ogni scetticismo, forse sta soprattutto in questo possibile passaggio parlamentare l'aspetto positivo. A patto che l'Autorità sia davvero messa nelle condizioni di svolgere le sue funzioni, è la sanzione politica in Parlamento quella che potrebbe acquistare il carattere più fastidioso e bruciante per l'uomo politico che sfrutta la carica pubblica per i suoi interessi privati. Il Parlamento è la tribuna dalla quale, volendo, si parla al Paese, che in questi casi non è affatto cieco, pardon <blind>.