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Gridare al lupo

Piero Ostellino, "Corriere della sera", 3 marzo 2002

Potenza suggestiva del "linguaggio politicamente corretto". Ho l'impressione che, d'ora in poi, per non apparire berlusconiani, sarà necessario sostenere che quella sul conflitto di interessi è una "cattiva legge". Dice invece il professor Sabino Cassese: "Se dobbiamo giudicare, prescindendo dallo specifico caso del presidente del Consiglio, è giusto dire che si tratta di un'ottima legge. Aver stabilito dei principi, in un ordinamento come il nostro, dove le norme su incompatibilità e conflitto di interessi erano rudimentali, è un importante passo avanti." Personalmente, e qui chiamo in mio soccorso l'amico professor Guido Rossi, io l'avrei estesa anche a tutti i casi di incompatibilità e di conflitto di interessi che riguardano la cosiddetta società civile. Società civile che è tutt'altro che "innocente come crede il professor Pardi detto Pancho.

Quanto poi al conflitto di interessi del presidente del Consiglio, la legge, cito ancora Cassese, è "di second best, la migliore possibile in questo momento", per la semplicissima ragione, dico io, che la situazione è una "anomalia italiana", frutto di circostanze storiche del tutto particolari (la scomparsa della Dc e dei partiti laici minori), non risolvibile normativamente in modo esaustivo. Ha ragione, dunque, il professor Giovanni Sartori ("Quella vedetta è un po' miope", Corriere di ieri) che la legge Frattini non risolve il conflitto. Ha tanto più ragione quando ricorda che, se il potere economico diventa anche potere politico, la democrazia è in pericolo (Robert Dahl). Ha torto, e già ne temo la severa ancorché affettuosa reazione, pensando che lo si potesse risolvere radicalmente.

Su almeno alcuni punti credo che l'amico e maestro Sartori possa concordare. Primo: in nessun Paese liberal-democratico la proprietà è preclusiva dell'attività politica, il che esclude la non eleggibilità per conflitto di interessi. Secondo: è costituzionalmente impraticabile obbligare qualcuno a vendere i propri beni, il che esclude la loro alienazione come soluzione del conflitto di interessi. Terzo: in un regime di mercato, la vendita e l'acquisto sono atti liberi e volontari che determinano il prezzo del bene, il che rende l'obbligo di vendere un controsenso economico distorsivo del mercato. Quarto: negli Stati Uniti la legge impone l'obbligo di dichiarazione patrimoniale, ma non detta al presidente e al vicepresidente alcuna soluzione per risolvere l'eventuale conflitto di interessi che ne derivi, il che implica la convinzione che la loro situazione patrimoniale non sia disciplinabile per via normativa (da Carter in poi, la decisione dei presidenti di affidare i propri beni a un blind trust, cioè a un fondo cieco, è stata una loro libera scelta).

Proviamo a tirarne le somme: a) Berlusconi è stato eletto deputato e ha vinto le elezioni legittimamente; b) è altrettanto legittimamente proprietario delle sue aziende e, allo stesso tempo, presidente del Consiglio; C) se, negli Usa, il giudizio sul conflitto di interessi del presidente e del vice presidente è affidato alla "sensibilità" della società civile, la sua rilevanza politica dipende evidentemente solo dal voto degli elettori; d) poiché, in Italia, oltre la metà degli elettori non lo ha considerato politicamente rilevante, si potrà dire che questi italiani non hanno la stessa sensibilità degli americani, ma non che Berlusconi governi illegittimamente.

Queste somme non escludono, ovviamente, che il conflitto di interessi rimanga, che sia potenzialmente un ostacolo per il corretto funzionamento del sistema e che abbia ragione Sartori a dirlo. Ma, a questo punto, secondo me, la situazione va affrontata in sede politica e, da parte dell'opposizione, con un minimo di realismo e di buonsenso. Il che non taglierebbe la testa al toro - l'anomalia italiana" - ma potrebbe almeno indurre il centrosinistra a cercare di valutarne empiricamente, in Parlamento e nel Paese, le conseguenze. E qui casca l'asino, che non è, mi guardo anche solo dal pensarlo, il professor Sartori, ma l'opposizione. Invece di abbandonare l'aula per far politica in piazza e diventarne prigioniera, l'opposizione avrebbe fatto bene a presentare degli emendamenti che accrescessero i poteri sanzionatori della legge Frattini. Inoltre, dovrebbe smetterla di gridare al lupo - il regime - che per ora non c'è, e non mi pare neppure possa nascere, rassegnandosi una volta per tutte che governa chi ha vinto le elezioni, anche se è un centrodestra afflitto dal conflitto di interessi, e incominciando a svolgere sul serio la propria funzione di controllo. Ad esempio, perché no, vigilando che l'Antitrust preposta a valutare la correttezza degli atti del governo faccia fino in fondo il proprio dovere.