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Il Parlamento fa le leggi e i magistrati devono applicarle

Intervento dell'on. Antonio Leone alla Camera dei Deputati il 20 luglio 2004.

Questa riforma, che giunge finalmente al suo traguardo, ha avuto un iter fin troppo travagliato, ma bisogna anche rilevare che su di essa si è addensata e scaricata una serie di tensioni politiche e di interessi che vanno ben al di là del sacrosanto diritto che hanno tutti i cittadini ad avere a disposizione un servizio-giustizia degno di un paese moderno ed avanzato.

Ricordo che questa riforma rappresenta l'attuazione di un preciso impegno programmatico che la Casa delle libertà, nel suo complesso, aveva assunto di fronte agli elettori in occasione delle elezioni politiche del 2001. Ciò tanto per rispondere, ancora una volta, a quegli esponenti dell'opposizione, ed ai loro sostenitori, che accusano - un giorno sì e l'altro pure - la Casa delle libertà ed il Governo Berlusconi di non aver rispettato i propri impegni programmatici. Questo disegno riformatore, nel testo al nostro esame, tiene doverosamente conto dei quattro rilievi mossi dal Presidente della Repubblica e recepisce, in modo equilibrato ed esaustivo, le osservazioni presidenziali.

Quale segno di apertura al contributo dell'opposizione, ricordo che sono stati recepiti nel corso del dibattito in prima lettura circa dieci emendamenti, aventi come primi firmatari gli onorevoli Finocchiaro, Maura Cossutta, Kessler ed altri. Alcuni di tali emendamenti erano marginali, ma altri erano piuttosto significativi.

La fiducia posta sull'approvazione della riforma dell'ordinamento giudiziario ha suscitato, come al solito, da parte delle opposizioni e da parte di una certa magistratura, un clamore spropositato rispetto all'intento di questa maggioranza, che era ed è quello di andare, finalmente, a mettere in discussione un ordinamento che mai nessuno aveva avuto, finora, il coraggio di riformare.

Lo scopo di questa maggioranza, all'indomani della vittoria delle elezioni del 2001, era - ed è, ancora adesso - proprio quello di realizzare alcune riforme rispetto alle quali mai nessuno nella storia di questo paese - e sottolineo: mai! - aveva avuto il proposito, il coraggio ed i numeri per farle.

Si potrà dare atto al Governo ed alla maggioranza che lo sostiene di aver avuto la forza di porre mano a questioni che in questo paese si è sempre stentato anche solo a sfiorare.

Sono passati diversi anni da quando fu un referendum popolare a tentare lo scardinamento di un sistema giudiziario obsoleto e chiuso in se stesso, che non rispondeva nemmeno per gli errori commessi. Allora, i cittadini vennero chiamati ad esprimersi sulla responsabilità civile dei magistrati e, nonostante la vittoria di quel referendum, le cose sono cambiate di poco, anche grazie ai Governi di centrosinistra che hanno ulteriormente peggiorato la situazione, compiendo ulteriori passi indietro.

A tutt'oggi, i procedimenti disciplinari e soprattutto le condanne nei confronti dei magistrati che abbiano commesso errori sono pochissimi. Possiamo pensare che ciò sia dovuto al perfetto funzionamento del sistema giudiziario ed alla bravura impareggiabile dei magistrati italiani? Ci piacerebbe che fosse così; ma sappiamo benissimo - e lo sanno soprattutto i cittadini - che il sistema giudiziario del nostro paese si sta crogiolando drammaticamente, da troppi anni, in un decadimento che va a discapito del sistema stesso.

Impegnarsi per imprimere, per la prima volta, una nuova disciplina all'ordinamento della giustizia con l'obiettivo di farla funzionare meglio era un dovere da compiere da parte di un Parlamento che si deve occupare dei diritti universali dei cittadini.

Ben venga il confronto. Ben venga il confronto con il CSM, se fosse stato costruttivo. Il Parlamento non può, accettare un atteggiamento di difesa corporativa, che si preoccupa della casta, ma non dei problemi che questa non può e, spesso, non vuole risolvere quando si tratta soltanto di mantenere vivi i privilegi ed un sistema che funziona meglio per gli addetti ai lavori che per i destinatari del diritto.

Da questo punto di vista, la pesante polemica di questi giorni con il Consiglio superiore della magistratura è servita solo a ribadire una ingiustificata e pericolosa distanza tra istituzioni che dovrebbero rispondere esclusivamente al bene comune del cittadino. Violare il dettato costituzionale che sancisce la separazione dei poteri, che è uno dei cardini fondamentali della nostra democrazia, è stato solo un superficiale quanto grave atto di irresponsabilità, che ha inutilmente avvelenato il clima e che si aggancia a quella idea di supplenza nei confronti della politica ed anche del Parlamento che la magistratura ha ritenuto di assumersi sul finire della prima Repubblica.

A proposito del dettato costituzionale, non è, per caso, ipotizzabile, attraverso il documento deliberato dal Consiglio superiore della magistratura, un'ennesima richiesta da parte del CSM di elevare un conflitto di attribuzione con le Camere, nel momento in cui si minaccia di adire la Corte costituzionale? E non è questo un travalicamento di poteri? È pur vero che l'ordine giudiziario è un potere dello Stato, ma non è certamente un contropotere. E non si è dimenticato che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 284 del 2005, ha ribadito l'inammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dallo stesso CSM avverso una disposizione della legge finanziaria per il 2004. Lo ricorderete: ne abbiamo parlato anche in quest'aula. Il CSM, in quanto tale, non è titolare di un tale diritto: si deve solo attendere che altri, eventualmente, si assumano lo zelo di sollevare un incidente di costituzionalità, e non certo per ordini di scuderia.

Pertanto, il principio dell'indipendenza della magistratura deve essere sì tutelato, ma non deve avere un'interpretazione così ampia da consentire il travalicamento delle funzioni proprie dell'ordine giudiziario e l'invasione nelle competenze del potere legislativo, come invece sta avvenendo anche in questa occasione.

Il Parlamento fa le leggi e i magistrati devono applicarle e non debbono assolutamente interferire nella fase legislativa, anche perché le leggi, in particolare quella sull'ordinamento giudiziario, sono costruite nell'interesse della generalità dei cittadini e non degli addetti ai lavori, siano essi magistrati o avvocati. Questo - i magistrati dovrebbero ben saperlo - non è uno Stato corporativo.

Per quanto riguarda la polemica sollevata dalle dichiarazioni del Presidente del Senato Pera e dallo stesso Presidente della Camera Casini circa le interferenze del CSM nell'iter di questa legge, c'è da dire che la volontà dell'organo di autogoverno della magistratura di dare pareri non richiesti al ministro della giustizia su questo provvedimento è quanto meno discutibile e si configura come una forma di pressione, che certamente noi non apprezziamo. Una sana dialettica politica impone di ricondurre il dibattito nelle aule parlamentari, che ne sono il luogo deputato.

In questi giorni - e non solo, per la verità - abbiamo sentito sull'argomento tante parole in libertà. Quel che ci ha stupito è che un ex ministro della giustizia, in maniera opaca, imprecisa e palesemente strumentale, abbia parlato di un provvedimento che porterà ad una magistratura meno sicura, meno certa e meno indipendente. Tali affermazioni non sono supportate da nessun elemento concreto inteso ad individuare le conseguenze normative che questo provvedimento provocherebbe.

La verità e la differenza tra noi ed voi, cari amici oppositori di professione, è che noi vogliamo una magistratura solo meno politicizzata. Ma le leggi, come potete ben intuire, servono a ben poco su questo terreno. Sono le coscienze cui bisognerebbe mettere mano, le coscienze degli uomini, degli uomini magistrati e degli uomini legislatori. Voi non siete stati capaci di farlo e non ne sarete mai capaci.