Il Governo che è riuscito a lavorare più a lungo nella storia della Repubblica, l'unico in grado di mantenere gli impegni
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Linee guida della finanziaria per il 2005

Questa legge finanziaria guidata da due principi chiave - la stabilità dei conti e una minore invasività dello Stato nell'economia e nella vita dei cittadini - si occupa di quello che è giusto che uno Stato consideri:

Con questi obiettivi la legge finanziaria del 2005 è stata impostata,facendo ricorso a tre strumenti:

Questa è la base di partenza su cui poi il Governo ha costruito la riduzione fiscale - l'aspetto più significativo di natura economica e politica del programma del Governo Berlusconi -, pienamente coperta non soltanto in base all'articolo 81 della Costituzione italiana, ma anche in base a criteri europei e di mercato.

Per trent'foto: mercato rionaleanni il nostro Paese è vissuto con un'alta inflazione e con frequenti svalutazioni della moneta, che consentivano una spinta all'export nel breve periodo, ma ovviamente determinavano un problema finanziario nel medio, e l'aumento del pubblico.

Con la creazione della moneta unica europea e con la recente accelerazione repentina di alcuni processi di globalizzazione nel mercato dei prodotti, dei capitali e del lavoro, l'Italia è entrata in una fase di profonda, difficile transizione e si sta liberando delle cattive abitudini, delle tossine economiche accumulate nei precedenti trent'anni.

Sta cambiando radicalmente il contesto di politica economica: il governo nazionale non controlla più in modo esclusivo la propria moneta e siamo entrati in un sistema di bassa inflazione e di moneta stabile, un sistema in cui i disavanzi pubblici non sono più ammessi e in cui la globalizzazione e la concorrenza internazionale stanno aprendo a ritmo vertiginoso quasi tutti i mercati dei beni e molti mercati dei servizi.

Il processo di adattamento alle nuove realtà (integrazione europea e globalizzazione) richiede di spingere moltissimo i processi di riforma piuttosto che tenere a bada i sintomi con effimeri aggiustamenti, sussidi o provvidenze che curano e sono lenitivi nel breve termine, ma non affrontano mai il problema.

Si deve puntare con decisione alla riduzione strutturale del debito (attraverso anzitutto l'avanzo primario), ad un aumento del potenziale di crescita (investimenti in capitale umano), ad un recupero di efficienza e di competitività delle nostre aziende e ad un aumento di investimenti pubblici. Questa è la direzione di marcia. La stabilità dei conti è un bene pubblico, in un contesto di globalizzazione finanziaria, perché il 45 per cento del nostro debito è collocato presso i mercati internazionali. Le riforme che impongono la ristrutturazione del sistema industriale, e della sua competitività, sono ugualmente importanti; il mercato dei capitali va sviluppato e tutelato.

C'è, poi, il problema della competitività, che nella nostra industria esiste da almeno quindici anni. La contrazione della produzione industriale è un vero problema del Paese, in parte strutturale e in parte legato al tasso di cambio nominale (dal 2000 ad oggi il tasso euro-dollaro si è apprezzato del 63 per cento). Peraltro occorre dire che la produzione industriale rappresenta soltanto il 20 per cento del prodotto interno lordo e non è di per sé un indicatore dell'avanzamento di un Paese; anzi, più un Paese è avanzato, più è avanzato il settore terziario. In Italia è tutto il sistema ad avere un problema di competitività: l'industria, i servizi (compresi quelli finanziari), la pubblica amministrazione.

È qui che dobbiamo fare lo sforzo più grande, curando le cause e non i sintomi.

Adattarsi da un sistema di regolazione di una società ad un altro è difficile, complesso, doloroso.

Fare riforme in questi campi non è compito semplice per gli ostacoli spesso corporativi che si frappongono al cambiamento. Ma è su questo terreno che si gioca la sfida della nostra competitività e del nostro sviluppo, a cominciare da quindici anni fa, non da oggi.

 

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