Il Governo che è riuscito a lavorare più a lungo nella storia della Repubblica, l'unico in grado di mantenere gli impegni
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Lettera del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al Corriere della Sera

"Il Corriere della Sera", 3 ottobre 2004, p. 1

Sul taglio delle tasse sto andando avanti.

Egregio direttore,

la perentorietà con cui il professor Panebianco, nell'editoriale di ieri, dichiara "archiviata la promessa con cui Berlusconi vinse le elezioni del 2001, una generalizzata riduzione delle tasse", mi ha francamente sorpreso. Panebianco è un osservatore attento e scrupoloso della vita politica e mi colpisce che, in questa occasione, gli siano sfuggiti molti, evidenti fatti.

Vale la pena allora ricordarne alcuni, a beneficio non solo di Panebianco, ma dei lettori del Corriere.

«Meno tasse per tutti» non è stato solo uno slogan elettorale, ma una linea costante dell'azione di governo in questi tre anni.

Con la Legge finanziaria per il 2003 il governo ha tagliato le tasse sui redditi personali per quasi 6 miliardi di euro, a beneficio dei redditi medio-bassi al di sotto dei 25 mila euro all'anno.

Ed è stato anche un modo per difendere le famiglie meno fortunate dalla fiammata dei prezzi determinata dal passaggio dalla lira all'euro, le cui modalità non sono state definite dal nostro governo che invece ha varato una vasta area di totale esenzione, la «no tax area», l'abolizione dell'imposta di successione, dell'imposta sulle donazioni, e altre numerose facilitazioni per i contribuenti.

Accanto a questi provvedimenti per le persone, il governo ha adottato una serie di misure di riduzione fiscale a favore delle imprese, come ad esempio la legge Tremonti-bis, l'abbassamento al 33% della tassa sul reddito delle società, una prima riduzione del'Irap, l'esenzione dalla tassazione delle plusvalenze, il nuovo regime semplificato dei dividendi e delle plusvalenze dei gruppi di imprese. Tutti questi provvedimenti, insieme al primo taglio delle tasse, hanno abbassato la pressione fiscale al 41,3%, rispetto al 42,1% a cui l'avevano portata i governi precedenti, e ciò al netto dei condoni, che sono ad adesione spontanea e rappresentano il recupero di somme non pagate a tempo debito.

Ma veniamo all'oggi.

Con il Documento di programmazione economica e finanziaria, il governo ha deciso di ridurre, nel biennio 2005-2006, l'imposizione fiscale per 12 miliardi di euro, un punto del prodotto interno lordo.

E ha stabilito di ridurre, dal 1 gennaio 2005, le aliquote sul reddito personale a tre: 23%, 33%, 39%.

(Una ulteriore riduzione di 12 miliardi, se gli italiani ci confermeranno la loro fiducia, sarà realizzata nel 2007 e nel 2008, in modo da arrivare ad abbassare la pressione fiscale globale al 39% del Pil).

Questo obiettivo - che è e che resta al primo posto degli impegni del Presidente del Consiglio, del governo, della maggioranza ed è pienamente condiviso dal Tesoro - sarà realizzato attraverso due strumenti: la legge finanziaria e un provvedimento ad hoc per il taglio delle tasse e il rilancio della competitività.

I due provvedimenti procederanno insieme in Parlamento e saranno approvati entro il 31 dicembre, per entrare in vigore il 1 gennaio.

Con la legge finanziaria - che, detto per inciso, non contiene, come invece asserisce Panebianco, le "manette agli evasori" né l'aumento della pressione fiscale da parte degli enti locali - si rispettano, per il quarto anno consecutivo, gli impegni previsti dal Trattato di Maastricht: contenimento del rapporto del deficit sul PIL sotto il 3% e riduzione del debito pubblico.

Con la riduzione fiscale in preparazione si realizzerà la politica economica del governo. Che è esattamente quella che Panebianco, nel suo articolo, descrive e che io per primo ho sintetizzato nella equazione per lo sviluppo: meno Stato, meno tasse sulle persone, sul lavoro e sulle imprese, uguale: più competitività, più sviluppo, più lavoro.

Quindi, maggiori entrate dell'erario, nuova ricchezza e più risorse per trasformare lo Stato sociale in un vero «Stato amico».

La scelta di presentare prima la Finanziaria e poi la riduzione fiscale è dettata da un'unica esigenza: dare immediatamente un segnale forte ai mercati internazionali sull'affidabilità finanziaria del nostro Paese, gravato dal terzo debito pubblico del mondo che abbiamo ereditato dai precedenti governi e che abbiamo ridotto al 106% del Pil.

E quindi, una volta incassata la credibilità sui conti pubblici, realizzare gli obiettivi di politica economica.

Questo è il programma del governo.

C'è un punto, però, degli argomenti di Panebianco che condivido e che mi sta particolarmente a cuore.

Esiste un partito delle tasse e degli sprechi, un complesso blocco sociale che è trasversale ai blocchi politici.

Questo partito è ben rappresentato dall'opposizione che in queste settimane sta discutendo se proporre, nel suo programma elettorale, la reintroduzione dell'imposta sulla successione e una tassa sul patrimonio.

Concordo anche sull'affermazione che le maggioranze disorganizzate difficilmente prevalgono sulle minoranze organizzate.

E il partito delle tasse è una sommatoria di quelle minoranze. Mi limito a dire, però, che se dieci anni fa decisi di lasciare la mia attività di imprenditore, che pure non mi aveva lesinato soddisfazioni, e decisi di affrontare quella che considero la più impegnativa fatica della mia esistenza, è perché ho voluto e voglio organizzare - e mi pare di esserci finora riuscito - quella maggioranza degli italiani che sono convinti della necessità di cambiare profondamente l'Italia.

Come intendo farlo? Con le 24 riforme che abbiamo in parte realizzato e che stiamo portando a termine. E con la riduzione della pressione fiscale, che comprende anche la riduzione delle aliquote che sarà in vigore dal 1 gennaio 2005. Soltanto allora vedremo se il partito del benessere e dello sviluppo, per il quale mi batto, sconfiggerà definitivamente il partito delle tasse.

Cordialmente Silvio Berlusconi

 

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