Sindacato unito nel perdere tempo
Renato Brunetta, "Il Giornale", 20 febbraio 2004, p. 1
Sulla riforma delle pensioni, ormai è chiaro a tutti, il merito conta poco. Conta poco il fatto che, per giudizio unanime, la legge Dini del '95 fosse insufficiente all'origine con i suoi tempi infiniti d'implementazione (al 2O3O con le sue discriminazioni inique (tra neoassunti, lavoratori con meno di 18 anni di contributi, e con più di 18 anni) circa l'applicazione del nuovo sistema di calcolo contributivo; con i suoi esiti finali inaccettabili, il produrre, cioè, baby pensionati con pensioni da fame, ma nel lontano 2035.
La Dini del 95 era finanziariamente insufficiente e socialmente iniqua, ma proprio per questo, proprio perché diluiva le sue perversioni nei quarant'anni a venire, era stata voluta, osannata, difesa dal sindacato e dai conservatori di ogni dove. Metteva la polvere sotto il tappeto, e guai a dire la verità. Bell'esempio di riformismo negazionista. Chi ci ha provato, anche a sinistra, è stato additato come nemico del popolo.
Guai a parlare di «contributivo» per tutti; guai a chiedere l'accelerazione della fine delle pensioni di anzianità, guai a volere regole uguali per tutti già nella fase della lunghissima transizione. La riforma Dini, proprio perché si era data 40 anni di tempo per fare finalmente sul serio, non poteva essere messa in discussione. Andava bene così.
Se qualcuno tirava fuori la «gobba», vale a dire l'esplosione finanziaria di un mostro siffatto tra il 2015 e il 2030, si rispondeva con impudenti negazioni su tutta la linea: non è vero niente, il problema non esiste, il «contributivo» produce da solo il riequilibrio, ci penseremo quando il problema si porrà veramente. Adesso per favore no, non è il caso.
Cambia il governo, ritorna il problema. Ma il sindacato non cambia ritornello. Riformare le pensioni? E perché mai, tutto va bene così com'è. Poco conta che ce lo chieda l'Europa, l'Ocse, il Fondo monetario. Poco conta che ce lo chiedano i giovani, quelli entrati nel mercato del lavoro dal 1° gennaio 1996, che a parità di ogni altra condizione si ritroveranno una pensione di importo ridotto a meno della metà rispetto a quello percepito dai loro genitori.
Tra una proposta e l'altra passano due anni e mezzo: divisioni nella maggioranza, miopia nell'opposizione, irresponsabilità nel sindacato tengono in vi ta un gioco assurdo. Prender tempo, perdendo tempo. Berlusconi la riforma la vuole, Tremonti pure, tutti gli altri molto meno, pur se con varie sfumature.
Dicevamo che il merito conta poco: i 40 anni, lo scalone, gli scalini, gli incentivi, il Tfr. la decontribuzione, le finestre, quota 95 o 96, la verifica del 2005 dei coefficienti di trasformazione, e via attuariando. Tutte parole al vento. Ciò che conta è prender tempo, perdendo tempo. Basta arrivare, questo il retro-pensiero del sindacato, mai così unitario, in zona-campagna elettorale del 2004, con ancora la questione aperta, con i tavoli negoziali in corso, con qualche apertura, seguita da minacce virtuali e scioperi generali reali. Basta ancora un mese, o poco più, e non se ne farà nulla, a tempo indeterminato.
In questa prospettiva si capiscono molte cose: le facce feroci di partenza; le aperture della Cisl sulle quote e sul Tfr, la stessa mossa della Margherita: tutti alibi.
Nel frattempo la decontribuzione è stata stralciata; gli incentivi non potranno in nessun modo partire entro quest'anno, il 2005 della verifica è vicino, e col 2005 anche il 2006 elettorale.
Mi piacerebbe essere smentito, mi piacerebbe un sussulto di decisionismo per dire basta a questo strazio, a questa grande presa in giro. Ci sarebbero ancora i tempi. Ma so che non andrà così. E poi ci si interroga sul declino del Paese...