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Anno scolastico 2004-2005: parte la riforma

Valentina Aprea, Il bilancio del sottosegretario all'Istruzione sul testo tanto contestato dalla sinistra, "Avanti!", 25 ottobre 2005

Con la nostra riforma abbiamo posto molte premesse istituzionali per "educare i nostri giovani alla cittadinanza attiva e solidale e all'occupabilità in una prospettiva di educazione permanente" all'interno di una cornice giuridica, organica e perfettamente integrata con la riforma del mercato del lavoro (riforma Biagi), anche questa fortemente voluta dal governo Berlusconi.

Che la riforma fosse necessaria ed urgente è stato a noi di Forza Italia immediatamente chiaro, fin da quando siamo nati come soggetto politico e comunque nel 2001 quando abbiamo iniziato l'azione foto: il sottosegretario Valentina Apreadi governo ne abbiamo avuto prova: quelli che sono considerati indicatori di efficacia dei sistemi educativi vedevano, infatti, allora l'Italia agli ultimi posti nelle comparazioni internazionali. Mi riferisco ad aspetti centrali dei sistemi educativi quali i livelli di competenza; le percentuali di dispersione scolastica e formativa; la rigidità ed autoreferenzialità del sistema, ma soprattutto all'immobilismo sociale e alla lunga transizione al lavoro, che nel nostro Paese viene a coincidere con la disoccupazione giovanile (e più spesso femminile).

Di fronte alle due opzioni praticate nella scorsa legislatura dal centrosinistra: il decentramento e la sussidiarietà (la prima con le cosiddette leggi Bassanini, la seconda con la modifica costituzionale del Titolo V), non abbiamo avuto dubbi. Noi potevamo riconoscerci e dovevamo operare per rafforzare la seconda, la sussidiarietà. La legge-delega 53, si badi bene, approvata già nel 2003 a soli due anni dall'inizio della legislatura (un record nella storia parlamentare di tutti i precedenti tentativi in materia), è stata infatti in questo senso una legge sulla scuola che per prima ha permesso di tradurre in politiche scolastiche il principio della sussidiarietà verticale e orizzontale. Rientra nella sussidiarietà verticale la scelta di riconoscere alle Regioni la responsabilità istituzionale - in linea con le competenze esclusive loro attribuite dal Titolo V - di un segmento significativo del secondo ciclo, quello dell'istruzione e formazione professionale, ma all'interno del "diritto-dovere" nazionale, previsto dalla legge 53/03 della durata di 12 anni (fino al compimento del 18° anno di età) ovvero, appunto, sino al conseguimento di almeno una qualifica professionale triennale (17 anni di età). La legge 53, insomma, ha definitivamente sostituito al monopolio statale dell'istruzione il pluralismo istituzionale della Repubblica in materia di istruzione e formazione.

Nel fare questa scelta, quella di sussidiarietà verticale, non ci ha guidato solo una volontà genuinamente federalista, ma anche e prima ancora la volontà di porre al centro delle politiche educative la persona, lo studente, le sue attitudini, vocazioni, aspirazioni, insomma la libertà di scelta, la personalizzazione dei percorsi, perché le opportunità di istruzione e formazione siano momenti non di costrizione da parte dello Stato (il vecchio obbligo scolastico) ma un diritto-dovere, un nuovo diritto di cittadinanza, e per una cittadinanza attiva.

In questo senso, non mancano le novità istituzionali che garantiranno d'ora in avanti forme di sussidiarietà orizzontale finora soltanto affermate in linea di principio nella legislazione scolastica, per esempio la flessibilità organizzativa e didattica in capo alle scuole autonome (suddivisione delle quote orarie in attività "obbligatorie", attività "obbligatorie a scelta dello studente", "facoltative"; l'innalzamento al 20% della flessibilità delle singole scuole sulla parte oraria obbligatoria, l'introduzione del portfolio delle competenze che consente di riconoscere competenze acquisite anche attraverso l'educazione informale e non formale); il raccordo con la società civile e specificamente con il mondo produttivo del territorio (laboratorialità, alternanza scuola lavoro); ancora, per i licei vocazionali (tecnologici, economici e artistici), ma anche per tutti gli altri, la possibilità di dare vita a veri e propri "poli formativi" territoriali, che alimentino le filiere di formazione, fino alla ricerca ed alla produzione, per specifici settori produttivi di rilevanza locale e regionale.

Con queste forme di sussidiarietà orizzontale abbiamo raggiunto almeno tre obiettivi: il superamento definitivo dell'autoreferenzialità delle scuole, l'ampliamento della libertà di scelta degli studenti e delle famiglie e il coinvolgimento delle imprese nell'investimento formativo sui giovani. Non sfuggirà che basterebbero questi tre obiettivi per giudicare la nostra riforma, la riforma del governo Berlusconi, una vera riforma, autenticamente liberale, moderna, e naturalmente europea, in discontinuità con il sistema auto-referenziale, rigido e statalista che abbiamo ereditato.
Non ci siamo limitati a modernizzare gli obiettivi di apprendimento, come peraltro si è tentato di fare in modo sperimentale per quasi 20 anni, ma abbiamo definito anche i livelli di padronanza attesi al termine dei percorsi, in modo da rendere le competenze acquisite a scuola certificabili e certificate, come viene richiesto dall'Unione europea (il
portfolio Europass), ma anche dal libretto formativo introdotto dalla legge Biagi per un qualificato inserimento nel mondo del lavoro e delle professioni. A questo proposito, vorrei ricordare che particolarmente elevati risultano i livelli indicati per la lingua inglese, che possono arrivare fino ai bilingulsmo, ma certamente significativi i livelli previsti per la seconda lingua comunitaria, così pure per i livelli di padronanza nelle tecnologie informatiche (è prevista alla fine del 2° anno dei percorsi liceali la competenza necessaria per acquisire il patentino informatico Ecdl).

Non vi è dubbio, dunque, che la rottura con l'uniformità e l'omologazione dei percorsi del passato "esplode" proprio con il secondo ciclo. Prova ne sia anche il fatto che, dal I5° anno di età, allo studente che per un motivo qualsiasi decida di uscire dai circuiti tradizionali (scolastici e formativi tradizionali), è richiesto - anche in un contesto lavorativo - di assolvere il diritto-dovere attraverso l'apposito apprendistato formativo previsto dalla legge Biagi, che si conclude con il conseguimento di una qualifica professionale, riconosciuta anche dal sistema educativo.

La vera scommessa è la qualità dell'insegnamento. Per garantirci questo obiettivo, abbiamo innanzitutto introdotto per la prima volta nel nostro Paese un Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo, con il compito di verificare periodicamente gli apprendimenti degli studenti nonché la qualità dell'offerta formativa delle scuole, per rendere finalmente trasparente all'opinione pubblica ed ai decisori politici il funzionamento di questo importante servizio pubblico, per migliorare la governance del sistema ed ottimizzare l'utilizzo delle risorse, per - infine - introdurre anche nel nostro sistema il principio dell'accountability incoraggiando le scuole ad intraprendere un sistematico lavoro di auto-valutazione.

Ma accanto alla valutazione nazionale dovrà agire una nuova formazione iniziale ed in servizio dei docenti, cui è dedicato un apposito decreto. A dire il vero, ancor più che sulla parte di riforma ordinamentale, è proprio su questo decreto che pesa l'eredità del passato, che parla di una gestione del personale caotica e poco meritocratica, che ha visto creare - sempre nella scorsa Legislatura - addirittura un monstrum giuridico, che si chiama graduatoria permanente - che racchiude ben 472mila docenti abilitati che stanno invecchiando (l'età media è tra i 45-50 anni) in attesa di essere immessi in molo sul 50% dei posti disponibili, cosa che richiederà alcuni decenni. E se possiamo vantarci con un massiccio piano di assunzioni di aver ridotto della metà questo contingente in questi 5 anni, nostro motivo di vanto oggi è che abbiamo previsto un nuovo sistema di formazione iniziale qualificato (perché prevede una laurea magistrale per l'insegnamento), regionale (perché per la prima volta vengono istituiti Albi regionali degli abilitati), e che favorirà il ricambio generazionale (perché garantisce, dopo una valutazione da parte delle scuole, l'assunzione a solo un anno dall'abilitazione). Abbiamo voluto insomma introdurre meccanismi certi per prevedere l'inserimento nella scuola di insegnanti più qualificati ma anche e soprattutto più giovani.

Alla luce dei quattro anni di governo, tenute in considerazione tutte le difficoltà (scioperi, strumentalizzazioni e proteste), posso dire che il bilancio è positivo, tuttavia il futuro richiede un atteggiamento ancora vigile ed operante prima di tutto nella direzione di una informazione capillare presso le famiglie e gli studenti circa nuove opportunità previste dalla riforma, ed in secondo luogo rispetto a tutte le azioni istituzionali e amministrative da intraprendere per rendere pienamente attuata la riforma stessa. Non ci nascondiamo che l'aspetto più delicato riguarda il rapporto con le Regioni per la creazione del sistema di istruzione e formazione professionale e non solo, ma anche in questo caso attraverso alleanze nuove e significative con i giovani, le famiglie, le imprese e il mondo delle agenzie formative dovremo essere capaci di superare gli ostacoli che oggi si frappongono al raggiungimento di questi obiettivi e soprattutto scongiurare che si possa più pensare di tornare indietro rispetto a questo processo riformatore, che ci colloca a pieno titolo in Europa e tra i paesi economicamente più avanzati nelle politiche di sviluppo del capitale umano..