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Protesta solo chi perde i privilegi

Intervista al ministro Letizia Moratti di Giancarlo Mazzuca e Silvia Mastrantonio "La Nazione" 5 novembre 2005, pp. 2-3.

ROMA - [...] C'è, tra i tanti nemici che almeno di facciata la criticano da mane a sera, chi l'ha definita «allergica al dialogo». Lei non se la prende.

«Francamente non credo proprio che sia vero, anzi. Sento fortissimamente la responsabilità di ascoltare gli altri per prendere le decisioni ma poi ho il dovere di prenderle, le decisioni».

Beh, almeno adesso che ha porta a casa il riordino della scuola dal primo ciclo all'ateneo, potrebbe dirsi soddisfatta. Ha finito, no? Un verbo sconosciuto nel vocabolario morattiano.

«La prossima settimana c'è la riforma del Cun (il consiglio universitario naziona le, ndr), poi ci sono da completare i decreti attuativi della riforma sullo stato giuridico della docenza, poi dobbiamo dare attuazione alla riforma della scuola per quanto riguarda la parte di competenza delle Regioni, ci sono da definire le figure professionali, gli standard minimi etc. etc». [...].

Tutto in nome, o meglio contro, i provvedimenti firmati Moratti. Un ostracismo a tutto campo. Che ci sia un difetto di comunicazione?

«Certo, ci sono manifestazioni dissenso ma c'è anche apprezzamento. Per l'università abbiamo avuto l'assenso di due dei principali sindacati dei docenti: quello dei professori ordinari e quello dei professori associati. Ci sono iniziative tra le più trasversali come quella di Magna Carta che ha raccolto oltre 2.500 firme a sostegno di un'università che non si arrocca solo a dire dei no ma diventa protagonista del cambiamento necessario per stare al passo con le esigenze del Paese».

E gli studenti?

«Quello che mi risulta strano è che gli studenti non hanno mostrato un grande interesse per la riforma, nonostante l'invito che ho più volte espresso a un confronto. Ho l'impressione che manifestino ma non approfondiscano e mi dispiace: ritengo che questo provvedimento meriti una lettura attenta, perché contiene molte azioni a favore degli studenti».

I rettori l'hanno accusata di non averli ascoltati, di non aver cercato il dialogo. E' vero?

«Abbiamo iniziato a lavorare sul progetto per la riforma dello stato giuridico dei docenti fin dal 2001 con una commissione formata da ex rettori, docenti, rappresentanti del mondo universitario. Io personalmente ho illustrato questo progetto almeno 4 volte nelle assemblee Crui, Poi l'abbiamo tradotto in articolato e da allora abbiamo lavorato con la Conferenza dei rettori in un percorso di ascolto e confronto. La Crui aveva fatto 14 richieste di cambiamento; ne ab biamo recepite 13, l'unica che non abbiamo accolto è stata quella relativa ai ricercatori perché la Conferenza non è stata in grado di farci una proposta».

Ma allora perché i rettori hanno marciato con gli studenti nel le piazze?

«Il problema è che i rettori sono eletti dal corpo docente e a questo devono rispondere. E noi abbiamo toccato privilegi, abbiamo inserito elementi di competitività e di maggiore impegno. Da parte mia va detto che ho rimandato l'approvazione del provvedimento che era in Aula, l'anno scorso, proprio per cercare il consenso pieno dei rettori. Certo, la riforma impegna maggiormente i docenti con incarichi aggiuntivi».

c'è il nuovo modo di fare con corsi. Negli atenei serpeggia un certo corporativismo?

«Il mondo universitario è molto autoreferenziale. Il timore del cambiamento esiste. Sul fronte concorsi con la nuova legge tutti i candidati potranno essere valutati in modo uniforme, con un'unica procedura a livello nazionale. E ci sarà maggiore trasparenza».

Parliamo di scuola. La riforma del secondo ciclo ha acceso polemiche feroci sulla presunta volontà del ministero di declassare gli istituti tecnici creando percorsi paralleli in realtà inconciliabili. Si parla di un ritorno indietro nel tempo...

«Purtroppo nella storia del nostro Paese gli istituti tecnici professionali sono sempre stati considerati come un'istruzione di serie B. Veniamo da una storia negativa che faceva dell'Italia l'unica nazione priva di un sistema adeguato di formazione professionale. Tutto era affidato a bandi delle Regioni, non esisteva un canale ordinamentale. Noi abbiamo colmato questa lacuna rispetto al panorama europeo e alla storia del nostro Paese dando piena dignità a questo canale formativo e non con le parole ma con alcune condizioni concrete: la creazione di un profilo culturale unico in uscita sia dai licei che dagli istituti professionali; la garanzia del passaggio, sempre, da un sistema a un altro; la garanzia dell'accesso all'università da entrambi i percorsi. Abbiamo anticipato, grazie a un accordo raggiunto in Conferenza Stato-Regioni e poi con tutte le regioni, per corsi triennali che hanno visto la partecipazione di circa 69mila giovani che, alla fine, potranno ottenere un titolo immediatamente spendibile sul mercato del lavoro. Da un lato c'è una storia negativa, dall'altro un'esperienza positiva. E' incomprensibile tanta opposizione. Credo che certe posizioni rappresentino un modo di pensare superato: non esiste più la sequenza studio-lavoro: il concetto da portare avanti in un mondo in evoluzione è studio - lavoro - studio - lavoro - studio - lavoro. Tanto è vero che a livello europeo il grande cambiamento che stiamo portando avanti è quello dell'educazione permanente. Così come è superato il concetto dell'apprendimento solo nell'ambito scolastico. L'apprendimento non è più legato solo alla fisicità del luogo ma deve dare la possibilità ai giovani di mettere a frutto tutte le loro esperienze anche se effettuate in 'ambienti non formali' quindi in famiglia, con stage presso imprese, in enti di ricerca, associazioni di volontariato. Entriamo in un mondo nuovo...».

Protestando con i sistemi vecchi...

«Appunto. Anche la didattica cambia, stiamo sperimentando nuove forme. Abbiamo creato canali televisivi. per l'informatica, le scienze, l'inglese. Abbiamo realizzato in collaborazione con l'Agenzia spaziale italiana un canale web interattivo attraverso il quale i ragazzi possono partecipare virtualmente a eccezionali esperimenti. Abbiamo incrementato del 35% il numero dei laboratori e portato il rapporto computer/studenti da uno a 28 del 2001 a uno a 10 di oggi. La media europea è uno a 13. Stiamo lavorando su metodologie estremamente innovative per motivare di più i giovani. Rispetto a questo grande cambiamento, ragionare con logiche vecchie sembra lontano dalla scuola reale. Abbiamo messo a norma le migliori pratiche che abbiamo trovato nel nostro Paese e negli altri Paesi».

Allora si tratta di falsi problemi? Come è stato con il tempo pieno?

«Il tempo pieno e il tempo prolungato sono stati assicurati a tutte le scuole che li avevano adottati. Ne è prova il fatto che l'orario da 30 a 40 ore compresivo della mensa del dopomensa passato dal 21 al 23,5% nella scuola primaria e dal 28 al 30% nella scuola secondaria di primo grado. Un aumento di due punti percentuali che è moltissimo. E' chiaro comunque che con le riforme tocchiamo dei privilegi, tocchiamo degli interessi, anche nella scuola».

Esistono scuole che si vantano di non applicare la riforma del ciclo primario, di procedere ancora con il vecchio sistema. Il ministero come si pone?

«La legge è legge e va rispettata. Mi auguro che si superino queste logiche di contrapposizione tenendo conto che noi abbiamo dato anche una grandissima apertura sulla funzione tutoriale. E' una funzione che comporta risvolti contrattuali e stiamo lavorando in sede Aran con i sindacati per definirne meglio i contenuti. Ci auguriamo che questo faccia superare le ultime resistenze».

Istituti professionali. I previsti passaggi di competenze alle Regioni rischiano di creare disparità tra gli studenti?

«Assolutamente no perché l'omogenità nazionale è garantita dai livelli essenziali e da accordi da realizzare con le Regioni che definiranno le figure professionali e gli standard formativi relativi alle competenze di base. Questo darà assoluta garanzia dell'unitarietà del sistema. D'altro canto ci sarà un maggiore collegamento con il territorio e con il fabbisogno locale dal punto di vista formativo prima e occupazionale poi».

Precari. Lei ha fatto molte cifre alcuni sindacati hanno dato numeri diversi. Vogliamo fare un bilancio definitivo?

«Nel 2001 sono state immesse in ruolo 67mila persone (62.500 docenti e 4.500 Ata). Nel 2004-05 le immissioni sono state 24mila (12.500 docenti e 2.500 collaboratori tecnici amministrativi più 9mila insegnanti di religione): nel 2005 i precari entrati sono stati 4Omila di cui 35mila insegnanti e 5mila Ata. Abbiamo già l'autorizzazione per il prossimo biennio all'immissione in ruolo di altri 3Omila docenti, 2Omila nel 2006 e 10mila nel 2007. Sono 160mila: è la più grande immissione in ruolo fatta da un governo dal dopo guerra».

Preparazione dei docenti e polemiche...

«Noi abbiamo fortemente voluto una formazione di pari grado per tutti gli insegnanti, sia per quelli dell'infanzia che dei licei. Il percorso che abbiamo previsto consentirà di avere insegnanti più preparati, più giovani e con la sicurezza del posto perché la programmazione delle ammissioni all'università vale già come autorizzazione a bandire il concorso. Quindi c'è la certezza del posto. Questo canale credo che darà risultati in termini qualitativi estremamente importanti».

E poi, ancora, i fondi per la ricerca, le lauree triennali. Il ministro Moratti potrebbe non fermarsi più. Scuola, università. Cose fatte e cose da fare. L'agenda è piena di impegni. Quasi un sospiro: «La parte principale è fatta. Ma no. Come ministro non ho finito ancora».

 

Vedi anche l'intervista al ministro Moratti di Antonio Galdo e la lettera aperta del ministro Moratti alle famiglie.